Questo libro poi mi è molto caro, perché... beh se volete sapere (intuire) perché, leggetelo!
PREFAZIONE
di Gianluca Morozzi
Era il 1987, e sul campo metà in stile giungla e metà in terra battuta
della Quercia era atterrato un pallone. Era atterrato qualche metro oltre alla
quasi invisibile linea dell’aria, respinto alla disperata dai pugni del
portiere. Su quel pallone, stretto nelle maglie giallo canarino della
Longobarda, ristrette al primo lavaggio fin quasi al soffocamento, mi ero
avventato io. Senza aspettare che toccasse terra per tentare il tiro di
controbalzo, che su quel terreno pietroso il pallone sarebbe potuto schizzare
dappertutto.
Sono passati venticinque anni, e da allora ho sentito un miliardo di
suoni e di rumori. Ma il Thumm! del pallone che impattava con il collo del mio
piede destro e il Flosccc! della rete che si gonfiava un attimo dopo ce li ho
ancora qui, nelle orecchie, come se avessi colpito quel pallone questo
pomeriggio.
Questo libro è per chi ha ancora quei bellissimi suoni nelle orecchie.
E nel cuore.
IL PIU’ GRANDE SOGNO DELLA MIA VITA
Quando leggo sul giornale di un
ragazzo morto per overdose, quando sento per radio di un giovane suicida,
quando vedo, ovunque, un essere umano che butta via la propria vita e il
proprio talento, magari affogando l’una e l’altro in un bicchiere, non posso
fare a meno di pensare: “Quello potevo essere io tanti anni fa!”
Così, frugando nel passato, un’altra riflessione nasce di conseguenza,
lasciandomi per certi versi ancora sbalordito: “E' un miracolo che uno come me,
sensibile a livelli quasi patologici, sia sopravvissuto a quel terremoto.”
Chi ha avuto grandi sogni da realizzare e si è svegliato un giorno con
un fardello paralizzante sulla schiena potrà capire meglio di cosa parlo. E già
che siamo all’inizio, voglio fare una premessa molto importante: questo libro
parla di calcio, ma è come se parlasse di qualsiasi altro sport o passione.
Questo libro è per chi ama il calcio, per chi lo odia e per chi se ne frega.
Questo libro parla di VITA e le sue pagine gridano, in particolar modo ai
giovani e ai loro genitori, una specie di implorazione: LEGGETEMI! Ne vale la
pena, sempre che leggere abbia a che fare con la sofferenza piuttosto che col
piacere.
Il più grande sogno della mia vita è stato diventare un calciatore di
serie A. D’altra parte il mio destino era in un certo senso segnato: papà era
stato un calciatore di massima serie tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio
dei Settanta e io volevo essere come lui, più forte di lui. Non so esattamente
quando c’è stato l’imprinting ma già a sette otto anni quello era il mio
obiettivo. La mattina andavo a scuola poi trascorrevo interi pomeriggi fino a
ora di cena a palleggiare e tirare contro il muro davanti a casa, per la
disperazione dei vicini.
Nel 1984, a
nove anni, il sogno comincia ad avere i contorni e i colori più definiti delle
maglie di una squadra di calcio del paese che mi “arruola” tra le sue fila;
disputo così il mio primo campionato e l’anno dopo un’altra squadra paesana, un
po’ più blasonata, mi convince a cambiare casacca. Qui scoppia il finimondo
perché la squadra che lasciavo era filocomunista, con sede al Bar Arci, mentre
quella in cui approdavo era filodemocristiana, con sede al Bar Acli. Venni così
“accusato” di alto tradimento e per qualche mese fui vittima di scherzi pesanti
e attentati alla mia bicicletta. Allora non la vedevo così divertente, ma oggi
non posso che sorridere a quei tempi guareschiani.
Per tre anni giocai nelle giovanili della Libertas Castello d’Argile,
poi venni notato dagli osservatori della Centese, società che viveva in quel
momento il suo periodo d’oro nel professionismo (C1 e C2) e a quattordici anni
compii un ulteriore passo verso la realizzazione del Grande Sogno.
A Cento feci il primo anno nella categoria Giovanissimi quindi passai
alla categoria Allievi nazionali ed è qui che sulla mia strada appare lo
pseudoallenatore Rolando Pidocchi. Per un ragazzino timido e buono, incapace
quasi di arrabbiarsi seppur determinato a raggiungere il suo scopo, trovarsi
alla mercé del peggior psicopatico della provincia era praticamente come
permettere a un prete pedofilo di fare dottrina a una classe di bambini nudi.
Il Mister era quanto di peggio si potesse trovare sulla piazza in materia di
educazione sportiva: insegnava a perdere tempo quando si vinceva, a fare falli
tattici anche violenti, a simulare, a provocare. E aveva in antipatia chi non
alzava mai la voce e faceva della correttezza la sua bandiera. Se poi questo
ragazzino che parlava poco e si impegnava tanto non rideva neanche alle sue
barzellette scadenti, la croce era piantata!
Ricordo una volta che raccontò una delle sue freddure e io rimasi
l’unico serio del gruppo: a fine allenamento mi chiamò nel suo spogliatoio e mi
fece un cazziatone di mezz’ora. Un’altra volta subii una lunga lavata di capo
perché portavo i capelli lunghi e spettinati e la società voleva che i suoi
giovani tesserati fossero tutti belli e presentabili… Dev’essere nata allora la
mia avversione leggermente provocatoria nei confronti delle “eleganti
apparenze”.
La mia pervicacia nel non volergliela dare vinta (o non potergliela dare
vinta, dato che non è possibile cambiare la propria natura) aveva l’ulteriore
conseguenza che spesso il Pidocchi non mi convocava nelle trasferte contro
squadre per cui avrei fatto la strada a piedi da Cento pur di giocarci contro.
Vedi Genoa e Juventus. Qualcuno potrebbe pensare che non mi convocasse perché
c’era chi era più bravo e meritava più di me, in realtà se parliamo di impegno,
serietà e talento erano pochi quelli che mi superavano in quella squadra, forse
nessuno; agli occhi del Rolando avevo un solo grande difetto: ero troppo puro!
Così soffrivo, in silenzio come purtroppo o per fortuna era nel mio
carattere. Passai un anno da incubo, ma l’amore per il calcio era troppo grande
per abbattermi, anche se indubbiamente qualcosa in me mutò. Chiosando
ulteriormente sul periodo, ho sempre pensato che se non fossi incappato in un
simile maniaco a quell’età, forse tutta la mia carriera sarebbe stata diversa,
ma sono pensieri stupidi e inutili. L’ho capito molto tempo dopo, quando mi
sono reso conto che proprio le sofferenze, le batoste, le violenze subite e le
delusioni si possono trasformare in incredibili opportunità. Solo chi riesce a
metabolizzare il dolore può vivere una vita spirituale e illuminata, spargendo
a sua volta la luce che ha dentro. Da adulto (e io sono diventato adulto tardi
se per adulto si intende uno che ha imparato a vivere seguendo la propria
natura senza farsi travolgere dalle avversità) ho iniziato a vedere il mio
passato da una prospettiva che non avrei mai immaginato potesse esistere: oggi,
lo dico senza paura di passare per presuntuoso, sono diventato una delle persone
più serene e illuminate che conosca; riesco persino a provare compassione per
un Pidocchi, anzi, è anche grazie a lui che ho iniziato ad allenare bimbi
sperando di trasmettere quell’amore per la vita e quella passione per il calcio
che avevano cercato di negarmi tarpandomi le ali. Di questo però parlerò più
avanti.
Quello che ho appena scritto è un assist che mi faccio per introdurre il
concetto di Filosofia del Calcio.
Cos’è? E’ quel modo di pensare che mi fa trovare un paragone con il calcio in
tutto ciò che ci accade quotidianamente. Ti impegni per ottenere un risultato
lavorativo ma non lo ottieni? E’ come nel calcio: non ti demoralizzare e
continua per la tua strada a testa alta e vedrai che prima o poi avrai grandi
soddisfazioni. La tua donna ti tradisce? E’ come nel calcio: la tua squadra o i
tuoi compagni prima o poi ti deluderanno per comportamenti poco corretti, ma tu
sii sempre corretto e non tradire mai la tua squadra e i tuoi compagni. Ne
vedrai i risultati. Qualcuno ti insulta per quello che fai, pensi o scrivi? E’
come nel calcio: invece che reagire e farti espellere, tramuta in forza e
determinazione ancora maggiori l’insulto. Dimostrerai di essere un campione
vero, anche come uomo. E così via. Potrei fare mille esempi. E’ sempre come nel
calcio. E come nel calcio, se sai vincere e perdere con dignità, sarai sempre
un fuoriclasse nella vita.
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