mercoledì 21 settembre 2016

SULL'ORLO DI UN DIRUPO

Oggi posto la prefazione (del buon Gianluca Morozzi) e il primo capitolo di Sull'orlo di un dirupo (storie di calcio e di anarchia), libro che potrei definire il mio "bestseller", virgolettato perché parliamo pur sempre di poche centinaia di copie (quando venderò mille libri in libreria mi vedrete nudo e ubriaco a fingere di pregare sulla tomba di mio nonno Hank). Provo sempre una sorta di paura nel rileggere parti dei miei vecchi libri, forse perché temo di rimanerci male, di pensare "che cagata che ho scritto!" o "come l'ho scritta male!", ma d'altra parte bisogna pure - ed è una buona regola anche per la vita - rileggere il passato per scrivere bene il presente.
   Questo libro poi mi è molto caro, perché... beh se volete sapere (intuire) perché, leggetelo!




PREFAZIONE

di Gianluca Morozzi
  

Era il 1987, e sul campo metà in stile giungla e metà in terra battuta della Quercia era atterrato un pallone. Era atterrato qualche metro oltre alla quasi invisibile linea dell’aria, respinto alla disperata dai pugni del portiere. Su quel pallone, stretto nelle maglie giallo canarino della Longobarda, ristrette al primo lavaggio fin quasi al soffocamento, mi ero avventato io. Senza aspettare che toccasse terra per tentare il tiro di controbalzo, che su quel terreno pietroso il pallone sarebbe potuto schizzare dappertutto.
Sono passati venticinque anni, e da allora ho sentito un miliardo di suoni e di rumori. Ma il Thumm! del pallone che impattava con il collo del mio piede destro e il Flosccc! della rete che si gonfiava un attimo dopo ce li ho ancora qui, nelle orecchie, come se avessi colpito quel pallone questo pomeriggio.
Questo libro è per chi ha ancora quei bellissimi suoni nelle orecchie. E nel cuore.       




IL PIU’ GRANDE SOGNO DELLA MIA VITA
  

Quando leggo sul giornale di un ragazzo morto per overdose, quando sento per radio di un giovane suicida, quando vedo, ovunque, un essere umano che butta via la propria vita e il proprio talento, magari affogando l’una e l’altro in un bicchiere, non posso fare a meno di pensare: “Quello potevo essere io tanti anni fa!”
   Così, frugando nel passato, un’altra riflessione nasce di conseguenza, lasciandomi per certi versi ancora sbalordito: “E' un miracolo che uno come me, sensibile a livelli quasi patologici, sia sopravvissuto a quel terremoto.”
   Chi ha avuto grandi sogni da realizzare e si è svegliato un giorno con un fardello paralizzante sulla schiena potrà capire meglio di cosa parlo. E già che siamo all’inizio, voglio fare una premessa molto importante: questo libro parla di calcio, ma è come se parlasse di qualsiasi altro sport o passione. Questo libro è per chi ama il calcio, per chi lo odia e per chi se ne frega. Questo libro parla di VITA e le sue pagine gridano, in particolar modo ai giovani e ai loro genitori, una specie di implorazione: LEGGETEMI! Ne vale la pena, sempre che leggere abbia a che fare con la sofferenza piuttosto che col piacere.
   Il più grande sogno della mia vita è stato diventare un calciatore di serie A. D’altra parte il mio destino era in un certo senso segnato: papà era stato un calciatore di massima serie tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta e io volevo essere come lui, più forte di lui. Non so esattamente quando c’è stato l’imprinting ma già a sette otto anni quello era il mio obiettivo. La mattina andavo a scuola poi trascorrevo interi pomeriggi fino a ora di cena a palleggiare e tirare contro il muro davanti a casa, per la disperazione dei vicini.
   Nel 1984, a nove anni, il sogno comincia ad avere i contorni e i colori più definiti delle maglie di una squadra di calcio del paese che mi “arruola” tra le sue fila; disputo così il mio primo campionato e l’anno dopo un’altra squadra paesana, un po’ più blasonata, mi convince a cambiare casacca. Qui scoppia il finimondo perché la squadra che lasciavo era filocomunista, con sede al Bar Arci, mentre quella in cui approdavo era filodemocristiana, con sede al Bar Acli. Venni così “accusato” di alto tradimento e per qualche mese fui vittima di scherzi pesanti e attentati alla mia bicicletta. Allora non la vedevo così divertente, ma oggi non posso che sorridere a quei tempi guareschiani.
   Per tre anni giocai nelle giovanili della Libertas Castello d’Argile, poi venni notato dagli osservatori della Centese, società che viveva in quel momento il suo periodo d’oro nel professionismo (C1 e C2) e a quattordici anni compii un ulteriore passo verso la realizzazione del Grande Sogno.
   A Cento feci il primo anno nella categoria Giovanissimi quindi passai alla categoria Allievi nazionali ed è qui che sulla mia strada appare lo pseudoallenatore Rolando Pidocchi. Per un ragazzino timido e buono, incapace quasi di arrabbiarsi seppur determinato a raggiungere il suo scopo, trovarsi alla mercé del peggior psicopatico della provincia era praticamente come permettere a un prete pedofilo di fare dottrina a una classe di bambini nudi. Il Mister era quanto di peggio si potesse trovare sulla piazza in materia di educazione sportiva: insegnava a perdere tempo quando si vinceva, a fare falli tattici anche violenti, a simulare, a provocare. E aveva in antipatia chi non alzava mai la voce e faceva della correttezza la sua bandiera. Se poi questo ragazzino che parlava poco e si impegnava tanto non rideva neanche alle sue barzellette scadenti, la croce era piantata!
   Ricordo una volta che raccontò una delle sue freddure e io rimasi l’unico serio del gruppo: a fine allenamento mi chiamò nel suo spogliatoio e mi fece un cazziatone di mezz’ora. Un’altra volta subii una lunga lavata di capo perché portavo i capelli lunghi e spettinati e la società voleva che i suoi giovani tesserati fossero tutti belli e presentabili… Dev’essere nata allora la mia avversione leggermente provocatoria nei confronti delle “eleganti apparenze”.
   La mia pervicacia nel non volergliela dare vinta (o non potergliela dare vinta, dato che non è possibile cambiare la propria natura) aveva l’ulteriore conseguenza che spesso il Pidocchi non mi convocava nelle trasferte contro squadre per cui avrei fatto la strada a piedi da Cento pur di giocarci contro. Vedi Genoa e Juventus. Qualcuno potrebbe pensare che non mi convocasse perché c’era chi era più bravo e meritava più di me, in realtà se parliamo di impegno, serietà e talento erano pochi quelli che mi superavano in quella squadra, forse nessuno; agli occhi del Rolando avevo un solo grande difetto: ero troppo puro!
   Così soffrivo, in silenzio come purtroppo o per fortuna era nel mio carattere. Passai un anno da incubo, ma l’amore per il calcio era troppo grande per abbattermi, anche se indubbiamente qualcosa in me mutò. Chiosando ulteriormente sul periodo, ho sempre pensato che se non fossi incappato in un simile maniaco a quell’età, forse tutta la mia carriera sarebbe stata diversa, ma sono pensieri stupidi e inutili. L’ho capito molto tempo dopo, quando mi sono reso conto che proprio le sofferenze, le batoste, le violenze subite e le delusioni si possono trasformare in incredibili opportunità. Solo chi riesce a metabolizzare il dolore può vivere una vita spirituale e illuminata, spargendo a sua volta la luce che ha dentro. Da adulto (e io sono diventato adulto tardi se per adulto si intende uno che ha imparato a vivere seguendo la propria natura senza farsi travolgere dalle avversità) ho iniziato a vedere il mio passato da una prospettiva che non avrei mai immaginato potesse esistere: oggi, lo dico senza paura di passare per presuntuoso, sono diventato una delle persone più serene e illuminate che conosca; riesco persino a provare compassione per un Pidocchi, anzi, è anche grazie a lui che ho iniziato ad allenare bimbi sperando di trasmettere quell’amore per la vita e quella passione per il calcio che avevano cercato di negarmi tarpandomi le ali. Di questo però parlerò più avanti.
   Quello che ho appena scritto è un assist che mi faccio per introdurre il concetto di Filosofia del Calcio. Cos’è? E’ quel modo di pensare che mi fa trovare un paragone con il calcio in tutto ciò che ci accade quotidianamente. Ti impegni per ottenere un risultato lavorativo ma non lo ottieni? E’ come nel calcio: non ti demoralizzare e continua per la tua strada a testa alta e vedrai che prima o poi avrai grandi soddisfazioni. La tua donna ti tradisce? E’ come nel calcio: la tua squadra o i tuoi compagni prima o poi ti deluderanno per comportamenti poco corretti, ma tu sii sempre corretto e non tradire mai la tua squadra e i tuoi compagni. Ne vedrai i risultati. Qualcuno ti insulta per quello che fai, pensi o scrivi? E’ come nel calcio: invece che reagire e farti espellere, tramuta in forza e determinazione ancora maggiori l’insulto. Dimostrerai di essere un campione vero, anche come uomo. E così via. Potrei fare mille esempi. E’ sempre come nel calcio. E come nel calcio, se sai vincere e perdere con dignità, sarai sempre un fuoriclasse nella vita.


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