lunedì 10 ottobre 2016

L'ISOLA DELLE FARFALLE D'ORO

A questa favola sono legato perché esprime tutto l'amore che provo per i miei nipoti, non a caso l'ho dedicata a loro. Leggendo la premessa verrà probabilmente fuori anche il mio sempre vivo "senso paterno", nonché la mia passione per il lavoro di allenatore/educatore. Finché esistono i bambini e qualche adulto dal cuore puro, c'è ancora speranza per l'umanità. Questo il succo della storia. Oltre alla premessa allego il primo capitolo; se vi interessa vi mando il libro completo in formato word o pdf. Buona lettura. 
Purtroppo, per vari motivi, L'isola delle farfalle d'oro è stato il libro con la tiratura più limitata. I pochi ad averlo posseggono infatti una reliquia che quando sarò santo varrà tutto l'oro dell'isola...




A Giulia e Riccardo



PREMESSA


Oggi compio gli anni. Un’età importante. Di solito alla mia età si è già raggiunto un qualche traguardo o comunque si è sulla buona strada per raggiungerlo. Io invece sono ancora qui nei panni di un immaginario Peter Pan a giocare all’artista. E un artista, si sa, che lo faccia per gioco o lo sia per davvero, non dovrebbe mai omologarsi agli standard imposti, altrimenti si prosciugherebbe nella normalità. Egli custodisce gelosamente la propria diversità e non perde occasione di fare sfoggio della sua “licenza poetica”, che non è altro che la capacità innata, e affinata con l’esperienza, di vivere la vita seguendo i suggerimenti  della fantasia (e del cuore). Un artista inoltre ha l’obbligo, se vuole essere artista totale, di essere narcisista e presuntuoso: se uno scrittore, un pittore, un poeta, un attore, un musicista, uno scultore vi dice il contrario, diffidate immediatamente della sua arte e soprattutto della sua persona. Io sono innegabilmente narcisista e presuntuoso quel tanto che basta, altrimenti non avrei scritto e non sarei qui a presentarvi questa favola.
   Una favola? Questa è bella, penserà qualcuno che mi conosce “per sentito dire” o per aver letto i miei libri e racconti precedenti. L’uomo (e l’autore) che ha fatto della provocazione, della misantropia, dell’antireligiosità e dell’immoralità i propri cavalli di battaglia, come può scrivere una favola? E' come se Linus ripudiasse la sua coperta. Il discorso si fa lungo e complicato e non credo abbiate voglia di sorbirvi le mie incursioni nella filosofia manservisiana, però posso dirvi che ho scritto una favola per un motivo fondamentale: adoro i bambini e credo in loro quali unica salvezza per l’umanità. Ho la presunzione (ah beata presunzione!) di poter insegnare cose importanti per la loro crescita; d’altronde è anche per questo che faccio l’allenatore di calcio di “pulcini”, per trasmettere a questi futuri uomini il rispetto, la lealtà, la tolleranza, la sincerità, l’altruismo, la bontà; e stimolare di conseguenza la loro intelligenza, fino a risvegliare quella creatività che ognuno di noi, chi più chi meno, ha dentro. Tutte qualità queste che si trasmettono con l’imprinting dei primi anni di vita. Ovvio che un allenatore, un maestro, un animatore o un qualsiasi educatore possono fare ben poco se alla base c’è una famiglia “negativa”, comunque non bisogna arrendersi, altrimenti non ci sarebbe alternativa all’ignoranza. E quando c’è solo ignoranza è la FINE.
   Dicevo che adoro i bambini. In particolare adoro i miei nipoti. Infatti a Giulia e Riccardo dedico questo libro. Giulia è la primogenita di mia sorella Giorgia. Mentre scrivo ha quasi quattro anni, è vispa e intelligente, come prevedevo che sarebbe diventata (anche se la previsione era a più lungo termine) scrivendole questa lettera per il suo primo compleanno:


Carissima Giulia,
                               
questo regalo sotto forma di parole scritte lo potrai apprezzare in pieno solo tra molti anni, quando – lo so con certezza – sarai una ragazza intelligente, sveglia e arguta.
Oggi è il giorno del tuo primo compleanno. Pensa, un anno fa, mentre una parte della terra era sconvolta dallo tsunami, vedevi per la prima volta la luce di questo mondo sclerotico, rivelandoti ben presto anche tu un piccolo tsunami. C’era la luna piena il 26 dicembre 2004, segno premonitore del tuo arrivo e specchio del tuo caratterino, che fino ad oggi si sta dimostrando luminoso e vispo.
Esattamente un anno fa, ricordo che ero in camera mia a leggere un libro quando ad un certo punto la nonna Paola, dal bagno, disse al nonno che era in sala: “Rubens, si sono rotte le acque!”
“Vado a chiamare l’idraulico” rispose il nonno.
“Ma no, cus et capé! La Giorgia! Bisogna portarla all’ospedale, sta per partorire!”
Così andasti con mamma, papà e nonna all’ospedale di Bentivoglio, dove nascesti poche ore dopo. Da quel giorno, per me come per i tuoi genitori e i nonni, non esiste giornata triste. Grazie a te, ogni giorno splende il sole, anche se fuori diluvia.
Cosa posso augurarti per il tuo futuro? Innanzi tutto tanta serenità. E’ fondamentale per vivere bene questa vita, visto che ti verrà minacciata (la serenità) da più parti. Voglio darti alcuni consigli dall’alto o dal basso dei miei anni. Ascolta sempre il tuo cuore. Non dar retta a chi ti racconta favole solo per farti il lavaggio del cervello. Sii mentalmente indipendente. Sii curiosa e leggi tanto, che solo così potrai darti risposte e, cosa ancor più importante, porti sempre nuove domande. Cerca di vivere intensamente, come se ogni giorno dovesse essere l’ultimo. Conquista il tuo spazio di libertà e difendilo strenuamente dall’ignoranza, dall’omologazione, dalla stupidità, dall’intolleranza, dalla superficialità di questa società. Rispetta chi ti vuole bene perché, ricorda!, ci sono persone che darebbero la loro vita senza pensarci un secondo per la tua felicità. Semina amore, raccoglierai gioia. Stai molto attenta mia amatissima Giulia: crescerai in una giungla, metaforicamente parlando. Stai lontana dalla massa, perché la massa ti tiene ancorata al fondo. Cercheranno di renderti uguale alla maggioranza delle persone, ma tu non cascare nella grande trappola della mediocrità. Vola! Vola con la fantasia e l’intelligenza che sono sicuro non ti mancheranno. Ti auguro di cuore di diventare una donna unica e speciale, che si distingua per la particolarità del suo cervello e la luminosità della sua anima.

Con infinito Amore,
Zio Simone


   Riccardo invece è la new entry. Nato con un mese d’anticipo più di un mese fa, è l’altro topino di casa, un frugoletto che già amo con tutto me stesso. Mia sorella lo desiderava con tutta la forza che solo uno spiccato senso materno può avere. Ha tribolato parecchio prima che arrivasse, rischiando persino la vita con una gravidanza extrauterina. Forse non ci sperava più. E’ stato lì che per la prima volta nella mia vita ho pregato un qualunque dio o simil dio mi potesse ascoltare se fosse stato in ufficio. Gli ho detto: “Dio o come ti chiami o qualsiasi cosa sei, se fai in modo che mia sorella abbia questa gioia puoi prenderti in cambio la mia vita se necessario. La baratto più che volentieri per la sua felicità!”
   Che abbia o meno fatto in modo di sbrigare la mia pratica, poco dopo la richiesta Giorgia è rimasta incinta e quando è nato Riccardo la mia gioia è arrivata alle stelle; se quella sera aveste guardato il cielo avreste notato una luminosità particolare.
   “Ora posso morire sereno” mi sono detto. Però,  visto che vivere non mi dispiace affatto nonostante questo sia un mondo marcio, prima dell’eventuale dipartita da pagare come debito per il grande dono ricevuto, mi mancherebbero ancora due “opere” da realizzare: innanzi tutto devo vedere questa favola pubblicata. Secondo ma non meno importante, piacerebbe anche a me avere un figlio un giorno.
   E’ buffo come io che ho da sempre come più grande sogno realizzare una famiglia allargata, di quelle che un giorno ti ritrovi vecchio (il vecchio Simone, con una lunga coda di capelli bianchi e un’altrettanto lunga barba) con quattro o cinque figli e una decina di nipoti… E’ buffo che tutto il resto di me che non sia questo desiderio mi porti invece nella direzione opposta, e cioè rimanere un uomo solo. Avrò mai dei figli anch’io? Il mio essere egoartista, ovvero essere Simone Manservisi non sembra compatibile con questo grande anelito che mi porto dentro dalla prima adolescenza. Vedremo. Chissà. Magari il Grande Capo accoglierà anche questa mia richiesta. Finché c’è vita…
   Tornando alla “prima cosa da fare” e cioè pubblicare la favola: se la state leggendo significa che sono riuscito a pubblicare il libro. D’altra parte non ho dubbi; pensare che questa storia è il mio modo di dire a Giulia e Riccardo (e ai miei figli immaginari o un dì reali) che gli voglio un bene dell’anima e che questa dichiarazione d’amore rimarrà anche quando non ci sarò più, mi spinge con serenità a pubblicarla a qualunque costo. Pensare inoltre che tra queste pagine si possono incontrare tante piccole farfalle dorate pronte a trasferirsi nei cuori e nelle menti dei bambini (e degli adulti) che le leggono, mi dà un ulteriore stimolo a pubblicare. Questa favola non è una di quelle favole che ti vengono raccontate sin da piccolo da adulti, preti, politici, tv, giornali, ecc. per farti il lavaggio del cervello (come ho scritto nella lettera per Giulia) e tenerti ancorato al fondo; questa favola è per chi vuole fuggire da questo brutto mondo, e sa che è possibile farlo non solo con le ali della fantasia.
   Non mi resta che augurarvi BUONA LETTURA, BUON DIVERTIMENTO E BUONA VITA.

10 novembre 2008


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Sedevano su una panchina fuori dal centro commerciale…




Sedevano su una panchina fuori dal centro commerciale, dove zio Simone aveva portato Giulia e Riccardo per farli giocare un po’ sulle giostre all’entrata del supermercato interno dopo avergli fatto scegliere i regali per il Natale imminente. Giulia aveva scelto la bambola di Bloom, una delle Winx, le fatine che spopolavano da qualche tempo tra i bambini della sua età, mentre Riccardo, più piccolino, era rimasto incantato da una semplice palla colorata e aveva optato per quella. Dopo numerosi giri sul cammello, il trenino e lo scooter meccanici, Giulia ne aveva avuto abbastanza e aveva pronunciato le paroline magiche che ogni bimbo conosce e alle quali nessun adulto può resistere se non pochi minuti: “Zio, ANDIAMO A CASA!”
   Erano usciti dall’imponente struttura rettangolare del centro commerciale e zio Simone si era seduto su una panchina in cemento rosa per allacciarsi una scarpa; Giulia e Riccardo lo avevano imitato per riposarsi. La giornata era soleggiata e particolarmente calda nonostante l’autunno stesse per lasciare posto all’inverno.
   “Se volete, intanto che ci riposiamo un po’, potete mangiare l’ovetto Kinder che abbiamo comprato” disse Simone una volta allacciatosi la scarpa.
   I due fratelli non ci pensarono due volte e scartarono insieme l’uovo di cioccolato.
   “Guarda Giuly, una Winx!” esclamò Riccardo. “Facciamo cambio sorpresa?”
   “Da me c’è una macchinina da montare. Tieni pure Ricky.”
   “Zio, me la monti tu?” chiese Riccardo con la bocca piena di cioccolato.
   “Da’ qua cippolippo” disse sorridendo zio Simone.
   “Zio, lo sai che è morta la nonna di Martina? E’ vero che è andata in cielo?” chiese all’improvviso Giulia. “E’ vero che le persone buone che muoiono vanno in paradiso?”
   Simone le carezzò i folti riccioli che aveva in testa e disse: “Non lo so se vanno in cielo o in paradiso. A dire la verità non lo sa nessuno. Però so che le persone a cui vuoi bene, quando muoiono rimangono dentro di te; entrano in una finestrella che c’è nel nostro cuore e lì vanno ad abitare. Così possiamo parlare con loro tutte le volte che vogliamo. E se stiamo molto attenti riusciamo a sentire anche le loro risposte.”
   “Davvero? Allora i morti ci parlano?” disse la bambina con lo sguardo perso nella sterminata spianata di cemento del parcheggio.
   “Sì, ma non aspettarti di sentire la loro voce. Ci parlano con il silenzio. E’ il bene… il bene che ci legava che ci guida come un lumicino nel buio. Forse sei troppo piccola per capire…”
   “No invece, capisco” interruppe Giulia quasi offesa per la considerazione dello zio. “Sono contenta per Martina. Se domani viene a scuola e piange ancora come ieri al funerale della nonna, le dico quello che mi hai detto. Sai, era tanto triste. Ho pianto tanto anch’io.”
   “Sei una brava bimba Giulia. Diventerai una bravissima donna.”
   “E Riccardo un bravissimo ometto, vero?”
   “Certo, Riccardino un bravissimo ometto” disse zio Simone allungando al nipotino la macchinina montata.
   “Guarda zio” disse Riccardo scoppiando a ridere, “questa macchinina sembra proprio il tuo macinino.”
   “E’ vero” confermò Giulia contagiata dalle risa del fratello.
   “Avanti cippilippi, andiamo a cercare il macinino che si va a casa.”
   Si alzarono e con i bimbi che non riuscivano più a smettere di ridere si misero a cercare la vecchia Polo dello zio nel parcheggio, che nel frattempo, mentre erano nel centro commerciale, si era riempito.
   “Ecco il macinino” disse lo zio dopo alcuni minuti di ricerche. “Tutti a bordo.”

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