venerdì 23 settembre 2016

IL FARDELLO

Pubblicato nel 2011, Il fardello inaugura il mio matrimonio con Edizioni Il Foglio, editore con il quale continuerò a pubblicare negli anni successivi (sette libri fino al 2016). Inaugura anche (mmm... in verità prosegue) la serie di quelli che potrei definire "libri catartici", storie che prima di essere appetibili per il lettore devono essere liberatorie per l'autore. 
   Posto il primo capitoletto di un'opera che si potrebbe definire (non immaginate che fatica faccio a definire i miei libri) un... un... boh, un viaggio onirico. Ciauz.


1


Lo trovai in casa una mattina di agosto; spenta la sveglia e accesa la luce avevo posato lo sguardo sulla scrivania e eccolo lì, accanto alla lampada da tavolo, seminascosto dal portamatite. Erano le dieci e un quarto e, tanto per non smentire il tran tran di quei giorni, il risveglio aveva portato con sé il poco gradito omaggio dei postumi delle bevute notturne al Gang Bang. Ci avevo messo diverso tempo prima di trovare le forze per alzarmi, nonostante fossi molto incuriosito da quel coso di cui non ricordavo la provenienza.
   Lo esaminai alcuni secondi: era un parallelepipedo blu scuro tendente al viola, delle dimensioni di un libro tascabile. In effetti il primo pensiero era stato che si trattasse proprio di un libro.
   “E da dove salta fuori questo?” mi chiesi.
   Lo presi in mano e rimasi sbalordito dalla pesantezza; per essere un oggetto di quelle dimensioni pesava enormemente. Andai in bagno e lo posai sulla bilancia elettronica: 15,7 kg apparve sul quadrante.
   Trovai mamma in cucina con zia Paola e le chiesi cosa fosse quell’aggeggio misterioso.
   “Mamma, sei stata tu a mettere questo sulla mia scrivania?”
   “No, cos’è?”
   “Non lo so. Pensavo me lo sapessi dire. E tu zia Paola? Ne sai niente?”
   “No” replicò zia, “potrebbe essere un fermacarte. Ha un colore molto particolare…”
   “Vero” intervenne mamma. “Ho fatto la sarta tanti anni venendo a contatto con le tinte più diverse ma non ricordo di aver mai visto un colore simile.”
   Bevvi il caffé che mi porse zia Paola cercando di ricordare se quella notte, tra una birra e l’altra con Banana e Rasputin, mi fossi in qualche modo appropriato dell’oggetto pesante non identificato. Qualche volta mi era capitato di esagerare un po’ troppo con l’alcol e non ricordare nitidamente quello che avevo fatto o detto la sera prima, ma la notte in questione non avevo oltrepassato i limiti tanto da avere amnesie post sbronza. Riportai in camera il coso appoggiandolo sul comodino. Mi sedetti alla scrivania, accesi il pc e cercai di andare avanti con il mio romanzo, ma dopo due birre e cinque sigarette non ero ancora riuscito a buttare giù una riga.

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